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Pellegrini di Misericordia, con i sentimenti di Gesù

 

“Sicuramente, e in più occasioni, tutti abbiamo vissuto l’esperienza del pellegrinaggio, ed ogni volta abbiamo gioito interiormente per l’affascinante esperienza spirituale del camminare verso la stessa meta con tanta gente proveniente da altre città… ogni volta il camminare insieme verso una meta che annunziava luce di vita, verità e dono di grazia, ci ha donato un rinnovato ed intimo senso di comunione fraterna… La gioia del ritrovarci nell’unità della Chiesa, della nostra Chiesa locale, si nutre e cresce in noi per la stessa comune speranza… ovvero verso la conoscenza della Verità, verso l’incontro con Colui che dona il giudizio, che illumina, che orienta il cuore e la mente, che guida l’anima dell’uomo alla vita, al suo giusto rapporto con la vita”.

 

            Sono le parole che il nostro amato vescovo, mons. Angelo Spinillo, ha pronunciato in occasione del convegno pastorale lo scorso 25 Settembre che ben introducono a quanto ci auguriamo di poter vivere nel corso di quest’anno pastorale.

Le molteplici sollecitazioni che la Divina provvidenza ha voluto offrire all’intera Chiesa universale, che si appresta a celebrare il Giubileo straordinario della Misericordia, per volontà dell’amato papa Francesco, nonché la prossima apertura del convegno pastorale decennale della Chiesa italiana, che ci impegna in un percorso profondo di ricerca del Cristo, “uomo nuovo” e in ultimo, il riferimento al nostro patrono san Rocco, da tutti sempre riconosciuto come il “santo pellegrino”, hanno suggerito lo slogan per il prossimo anno pastorale:

pellegrini di misericordia, con i sentimenti di Gesù

le tre dimensioni, del pellegrinaggio, della misericordia e del “sentire” come Gesù, così come inneggia il meraviglioso inno cristologico contenuto nella lettera ai filippesi (fil 2,5) saranno le bussole di orientamento del nostro cammino pastorale. Ci auguriamo che sia un anno in cui il cercare e contemplare in Gesù il volto della misericordia del Padre sarà un “lasciarci sorprendere da Dio” (MV 25)

 

LA METAFORA DEL PELLEGRINAGGIO

Il pellegrinaggio è sempre stato un momento significativo nella vita del credente; ciascuno di noi ha avuto modo di vivere un pellegrinaggio, a piedi o in autobus, verso luoghi di fede, santuari, ecc.).  Pur essendo momenti intensi e significativi, sono anche occasioni uniche nei quali attingere e rinvigorire la nostra fede per accogliere sofferenze grandi, fare scelte importanti o dare una svolta decisiva alla nostra stessa vita. Il pellegrinaggio diventa anche “stimolo alla conversione” (Mv,14).

Ne consegue che esso è una scuola preziosa per la qualità della vita cristiana nella logica educativa del “fare esperienza”. Aiuta a "bucare" il quotidiano verso il suo mistero, facendo fare esperienza del mistero stesso (Bonhoeffer).

Di persone che camminano, soprattutto oggi nel mondo, ce ne sono tante, basta guardare i volti della gente che ci circonda. Ci sono persone che camminano alla ricerca di un lavoro, di una casa, persone invece che fuggono dalla miseria e dalla violenza, altri che camminano senza meta e altri ancora che vanno dietro a falsi miti. Camminano molto, anzi corrono, coloro che la domenica ricercano a tutti i costi un modo eccezionale di divertirsi; camminano i giovani alla ricerca di un piacere che dia Speranza alla loro vita, di un ideale che riapra il loro futuro. Camminano uomini e donne, giovani e adulti, da un matrimonio all’altro, da un lavoro all’altro, da una casa all’altra, da un partito all’altro, da una religione all’altra: solo alla squadra del cuore, forse, si rimane fedeli! Dobbiamo riconoscere che nella storia e nella vita di ciascuno, ci sono cammini veri e cammini illusori. Cammini che ci portano serenità, poiché realizziamo ciò che vogliamo, e cammini che ci sprofondano sempre più spesso nella tristezza, nella precarietà, nella delusione.

A quale cammino dobbiamo pensare? Qual è allora il pellegrinaggio vero, quello a cui il Papa, in questo anno giubilare, vuole richiamare la nostra attenzione di credenti? Nella Misericordiae Vultus, Papa Francesco così ne parla in merito:

Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. (Mv,14)

La parola pellegrinaggio ci riporta alla condizione stessa dell’uomo che ama descrivere la propria esistenza come un cammino che va dalla nascita alla morte. Il cammino - metafora del viaggio dell’esistenza umana – obbedisce al progetto di Dio che ha messo nel cuore dell'uomo il desiderio d'infinito. Per questo l'andare può essere vissuto come momento importante di crescita e di maturazione. Già il semplice andare ogni Domenica alla Celebrazione dell’Eucarestia è un piccolo pellegrinaggio che compiamo.

 

PELLEGRINI O NOMADI?

Viaggiare è prima di tutti lasciarsi alle spalle qualche cosa che si conosce già, per poi mettersi in cammino verso qualche cosa di nuovo. Ed allora, dobbiamo chiederci: qual è il punto di partenza? come lo possiamo descrivere e riconoscere? Quale meta è così forte ed attraente da provocare una partenza?

Credo che bisogna anzitutto partire dalla consapevolezza di chi siamo e quale percezione ideale e reale abbiamo del nostro essere in questa condizione di pellegrini. Eppur vero che strada facendo che l’uomo si riconosce, si sperimenta, si comprende e lo fa ancor di più se il cammino è affiancato da compagni di viaggio con cui condividere il medesimo passo, per poi orientarsi alla comune meta. Chi siamo realmente? Come vogliamo vederci in questo cammino?

Forse potremmo chiarirci meglio partendo da due condizioni sociali dell’uomo: il nomade ed il pellegrino. Il nomade è colui che girovagando cambia spesso luogo, si sposta portandosi dietro tutte le sue cose, nei luoghi in cui si ferma qualcosa prende, qualcosa lascia (non si integra mai nelle norme, nelle consuetudini, nelle tradizioni del luogo). In genere rimane in un posto fino a che lì c’è qualcosa che lo interessa per poi ripartire. Egli non ha un progetto, un orizzonte verso il quale dirigere i propri passi. Il pellegrino invece è colui che ha una meta, segue un percorso, anche se a volte è tortuoso, ma ha un desiderio che porta nel cuore. Il nomade ed il pellegrino camminano sulla stessa strada, non hanno segni che li caratterizzano, né sono apparentemente riconoscibili. Ciò che distingue il pellegrino è la Speranza, la coscienza, la certezza di un viaggio che conduce ad una Meta.

Il pellegrino è colui che conosce bene la meta da raggiungere e cammina sulla strada che conduce a tale meta. È lo stesso Gesù Cristo che si propone a noi come strada da percorrere e come meta da raggiungere nel pellegrinaggio terreno: “Io sono la Via, la Verità e la Vita.

Il ritratto e l’equipaggiamento del pellegrino, per affrontare il viaggio della vita, è più che essenziale, e ci fa molto riflettere sul senso vero e ultimo. Da queste considerazioni potremmo chiederci: come equipaggiarci in questo cammino, quali sono le cose necessarie da portare? Quali sono quelle utili; quali le cose superflue o ingombranti?  La risposta a tale domanda non ci orienta verso una risposta ma verso una presenza.

Pertanto, la priorità più importante che si pone come via, meta e senso del pellegrinaggio è come incontrare Dio, conciliando gli impegni e le attività della vita con la preghiera incessante; il segreto, che egli ha scoperto e che suggerisce anche a noi, è quello di rientrare nel proprio cuore, per mettervi al centro Gesù e instaurare con lui un dialogo di amore, che gradualmente diventa sempre più profondo.

 

PELLEGRINI IN USCITA

Un secondo aspetto lo potremmo addurre nell’atto stesso di uscita e del suo significato. “Uscire” è anche uno dei cinque verbi che il convegno di Firenze ha indicato nella sua traccia di riflessione:

«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. [...] Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare” [...]» (traccia convegno di Firenze).

“Uscire” vuol dire anzitutto depennare la tentazione di una chiusura rivolgendosi solo a sé stessi, al proprio gruppo, alle proprie amicizie e simpatie, alle proprie convinzioni e chiusure. Sempre il nostro vescovo ci ricordava che: “le frontiere si possono difendere, cercando di costruire muri. Ma possono essere anche soglie, luoghi d’incontro e dialogo, senza i quali rischiano di trasformarsi in periferie da cui si fugge: abbandonate e dimenticate. Il movimento non è quello della chiusura difensiva, ma dell’uscita. Senza paura di perdere la propria identità, anzi facendone dono ad altri.” Come dice Papa Francesco: «Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada» (Evangelii gaudium 46).

L’uscita determina l’incontro con il nostro vivere quotidiano (la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete), ovvero, ciò che Papa Francesco indica come “periferie esistenziali” e che s’impongono all’attenzione della Chiesa.

Uscire per annunciare, abitare, educare, trasfigurare: “Cinque verbi che non si accostano semplicemente l’uno all’altro, ma si intrecciano tra loro e percorrono trasversalmente gli ambienti che quotidianamente abitiamo”. (A. Spinillo)

Dalla condizione dell’uscita c’è anzitutto la condizione dell’accoglienza che rappresenta un orizzonte essenziale del nostro vissuto ecclesiale e comunitario. A tal proposito vorrei sottolineare anche un particolare del nostro slogan parrocchiale dove si parla non di “pellegrino” ma “pellegrini”; ciò vuol dire che il cammino che ci apprestiamo a vivere è dettato dalla comunione non da una vita solitaria. Dicendo pellegrini al plurale, intendo con molta chiarezza l’integralità di tutta la comunità parrocchiale, in tutti i suoi carismi, potenzialità, età ed espressioni. Si comincia bene a compiere il primo passo del nostro pellegrinaggio se anzitutto compiamo il primo passo dell’accoglienza dell’altro. L'accoglienza è uno dei primi segni che la comunità è viva.  Permettere ad altri, estranei, visitatori, di vivere nella comunità, è segno che non si ha paura, che si ha un tesoro di verità da condividere.  Quando una comunità comincia a sbarrare le porte, è un segno di chiusura dei cuori. Ma bisogna ben capire cos'è l'accoglienza. Per poter accogliere occorre esistere, cioè "essere" una comunità che abbia una vita reale. Accogliere non è per prima cosa aprire la porta della propria casa, ma aprire le porte del proprio cuore e con questo diventare vulnerabili. È uno spirito, un atteggiamento interiore. È prendere l'altro all'interno di sé, anche se è una cosa che disturba e toglie sicurezza; è preoccuparsi di lui, essere attenti, aiutarlo a trovare il suo posto nella comunità o altrove.  Accogliere è ancora di più che Ascoltare (Jean Vanier, “filosofo e filantrope”)

Bisogna mettersi in cammino così, rischiando, mettendosi in gioco tuttavia senza farsi troppe domande. Ma solo quelle giuste;

 

IN MARCIA VERSO LA META: LA MISERICORDIA

Il partire tuttavia reca con sé dei dubbi, su ciò che si lascia, cosa si potrebbe portare, cosa si farà, chi s'incontrerà: la paura insomma che il Signore non ci basti o non sia capace di riempire il nostro cuore. Quali sono le cose necessarie da portare? Quali sono le utili? E quali sono le superflue o le ingombranti? I pesi che ingombrano sono tutte le forme di attaccamento smodato alle realtà materiali e temporali, che si devono, volenti o nolenti, lasciare di qua. In questo passaggio dal tempo all’eternità, ciascuno porterà soltanto la propria anima e le opere, sia in bene che in male, compiute nella vita terrena.

Papa Francesco adducendo ad un brano di Luca (Lc 6,37-38) propone alcune tappe che ci conducono alla meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio»

Chi punta dunque alla misericordia, oltre ad operare una conversione in uscita, per raggiungere tutti, ed in entrata, per accogliere chiunque, è colui che si sforza a stare lontano dal giudizio, dalla condanna e dalla mancanza di carità: “Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto.”

La meta della misericordia con i sentimenti di Gesù ci chiede un passo ancora più agile e lungo, ovvero crescere nel perdono e nell’amore. Bisogna farlo e viverlo perché Dio Padre lo fa anzitutto con noi! La meta ben prefissa: è l’incontro con Gesù, che si costruisce giorno dopo, giorno nella misura in cui sappiamo far nostro i suoi sentimenti.

Ecco perché dobbiamo puntare ad una maggiore riconciliazione con se stessi, direi “abusando” fino agli estremi del Sacramento della Eucarestia e della Misericordia e, ancor di più, imitando l’evangelico “amico inopportuno” quando vi accosterete ad un sacerdote per celebrare il Sacramento della Riconciliazione.

Solo in tal modo il nostro cammino pastorale troverà uno slancio ed un respiro di vita. È solo a questa condizione che gli eventuali attriti al nostro interno vedranno la loro perenne decaduta. Solo così lasceremo il passo alla nostra auto-determinazione e tentazione di protagonismo per porci autenticamente e responsabilmente, all’insegna della gratuità e di uno spirito paterno e materno a servizio dell’uomo: “Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici.” (Mv,9) 

Il Santo Padre non poteva utilizzare parole più belle per inneggiare la misericordia: “è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita; è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”. (Mv,2) essa è “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa”.

 

CON I SENTIMENTI DI GESÙ

Il passo biblico di riferimento, che corona il nostro slogan è tratto da un meraviglioso inno cristologico contenuto nella lettera di Paolo agli efesini (Fil 2,5). Qui si mette in risalto come la pienezza della divinità di Gesù si manifesta nel suo svuotarsi. Per dirla con un autore biblico, Gesù si svuota e nel suo svuotarsi, viene a condividere tutto dell’uomo mettendosi al suo servizio. Entra ovunque sia presente l’umano, anche laddove sembra annullarsi: la morte. Realmente possiamo affermare che Egli è ovunque. Anche la morte oramai è stata abitata dalla sua presenza.

A questa presentazione solenne di Gesù l’apostolo fa precedere una esortazione molto chiara: “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Egli, dalla sua condizione divina, “pellegrina” fin nelle estreme radici del creato, si svuota e si fa servo. Anche l’evangelista Luca ci racconta che Gesù, un sabato, ritornò a Nazareth e nella sinagoga, citando il passo di Isaia, parla di come vuole impostare il suo cammino di servizio: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore» (61,1-2)

Portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è chiamata ad offrire.

Gesù è venuto sulla terra per insegnarci a servire. Egli è il nostro modello e, durante l'ultima Cena, lavando i piedi ai suoi discepoli ne ha dato l’esempio. Seguire non solo l‘esempio morale di Cristo, ma a vivere di Cristo, significa, dunque, nelle situazioni in cui si vive e si lavora, saper dire con spontaneità: Sono venuto per servire, non per essere servito» (cf. Matteo 20, 28), essere cioè sempre a disposizione per il bene degli altri», anzi, «diventare un bene per gli altri».

La differenza non è piccola: si tratta di passare dal fare qualcosa a favore dei fratelli, ad essere una persona per gli altri, come Gesù è «per noi». Questo modo di porsi in relazione a Dio e al prossimo dona alla vita una dimensione nuova, quella di donarsi: “Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio…Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi”. (Mv,14)

 

MISERICORDIA NELLA CUSTODIA DEL CREATO

Bisogna sempre considerare lo spazio che sussiste tra il punto d’inizio e la meta. Lo spazio appunto è quella realtà e quell’ambiente che è intorno a noi. La realtà di cui siamo ospiti, custoditi e dobbiamo sempre di più amare, valorizzare, custodire; dobbiamo essere per il nostro ambiente non come nomadi distratti, che prendono ciò che vogliono, ma pellegrini che solcano il terreno lasciando la loro impronta. Lo stesso papa Francesco ha offerto a tutta la Chiesa una enciclica sulla salvaguardia del Creato: “Laudato si”.

Il Papa ha sottolineato il legame che unisce le persone umane all’ambiente, ossia in termini di relazioni di familiarità, tenendo conto che venire meno ai doveri di rispetto del creato non solo è offesa al Creatore, ma anche offesa a noi stessi e ai fratelli, specie i più poveri. Impegnarci nell’ “ecologia della vita quotidiana”, come il Papa l’ha spiegata, può essere un impegno caratteristico di quest’ anno. Al tempo stesso occorre adoperarsi perché questo impegno, che assume dimensioni nuove particolarmente preoccupanti nell’orizzonte della globalità, ci veda sensibili anche sul piano della politica, che è “alta forma di carità” alla quale ci dobbiamo sensibilizzare ed educare.

 

MISERICORDIA: FARSI PICCOLI PER I PICCOLI. FARSI PRESENZA PER GLI IDEALI DEI GIOVANI

Un’ultima parola è rivolta a coloro verso cui tende e protende la maggior parte delle nostre energie e delle nostre attenzioni. Sono i fanciulli e i giovani. Sempre di più avvertiamo l’urgenza di stare al loro passo e farci loro compagni di viaggio, offrendogli non una soluzione ai loro problemi ma la vicinanza, non sostituendoci così arginando il dovere dell’accompagnamento e del compito educativo, ma mostrando la nostra esperienza e, ancor di più, lasciandoci sorprendere dal loro entusiasmo, creatività, gioia e gusto per la vita.

Ed è per tal motivo che invito tutti i catechisti e gli educatori ad aver a cuore il senso di responsabilità, nonché ad assumere un stile paterno che si faccia presenza costruttiva, capace di orientare il loro passo e il loro sguardo verso Gesù e la sua Parola. Non possiamo pertanto essere approssimativi e banali nel preparare gli incontri, non possiamo esimerci dai lor bisogni né possiamo prescindere da una formazione personale e comunitaria. I percorsi di iniziazione cristiana, i percorsi di formazione presso gli scout e l’azione cattolica, le varie iniziative parrocchiali e diocesane devono essere un modo per allargare i loro orizzonti relazionali e di crescita costruttiva. Dobbiamo essere capillari ed esigenti sforzandoci di parlare lo stesso linguaggio, quello dell’amore, e arginando ogni forma di protagonismo clientelare. Sono nostri figli, non un trofeo da conquistare!

Ancor di più quest’anno, dovranno vederci protesi nel gustare e gioire nella misericordia del Signore e da noi sentire sempre più forte il desiderio di farci imitatori di Dio nell’offrire, donare ed accogliere quel volto Misericordioso del Signore. 

 Carissimi,

siamo chiamati ora a camminare con un passo nuovo e diverso. Non ci facciamo illusioni, miei cari fratelli e sorelle. Il cammino che ci attende avrà come sempre il sigillo della croce. Non illudiamoci che sia un cammino facile e trionfale. Chi tra di voi si impegnerà, troverà sempre accanto qualcuno che gli sarà contrario. Spesso sono proprio questi atteggiamenti di sussiego, di cinismo, di chiacchiere banalizzanti, che fanno più male delle aggressioni vere e proprie che vengono dall’esterno.  Tuttavia, non abbiate paura! La fatica del cammino sarà compensata dai doni immensi con cui Dio vorrà sorprenderci. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita.

 

 FACCIAMOCI SANTI!

  Il vostro Parroco      

Don Armando Broccoletti

Lettera pastorale 2015-16
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